Un D’Alema baumaniano

Un D’Alema baumaniano

Tonino D’Orazio 25 marzo 2016.

Finalmente D’Alema ha detto qualcosa di sinistra, dopo anni di silenzio assenso in direzione contraria. Il rispetto della nostra Costituzione in merito alla parità di tutte le religioni. Quindi anche dell’8 per mille per i musulmani. Così potranno costruirsi le loro moschee e pregare il loro dio. Magari senza l’aiuto dello stato e dei comuni, ma nella pace delle varie religioni, anche con i soldi dei volontari cristiani. Giustissimo. E’ un problema di libertà loro e di tutti i credenti.

Qualcuno ha subito aggiunto il veleno nella coda:”così potranno essere controllati meglio”. Invece, quando si riuniscono in topaie e sottoscale, va bene. I soliti puristi delle etnie che fanno buon viso a cattivo gioco. Tralasciamo i commenti leghisti. Quelli sono contro la Costituzione e le leggi da sempre. Sono i nuovi fascisti. I neo già ci sono, sdoganati da tempo. Tralasciamo anche la destra, in gran parte cattolica e conservatrice nel nostro paese. Non amano il loro capo Francesco né quello che dice in qualità di vicario di Cristo, e diventano subito disubbidienti silenti, sostenuti da una cricca cardinalizia chiacchierona e revanscista di destra. Per loro l’ecumenismo cattolico e la riunificazione delle religioni cristiane sembrano farsa e spettacolo. Non ci credono almeno da un secolo. Figuriamoci con i monoteisti musulmani, anche se con un corano in sostanza completamente scopiazzato dalla bibbia.

Il segnale di D’Alema, in un momento così critico, uguale in fondo a quello del sociologo Zygmund Bauman, è quello dell’accoglienza, della tolleranza e dell’integrazione. Una voce controcorrente, uno spazio di apertura civile e culturale. Certamente, togliere dalla mente che il “problema immigrazione” non è un problema di sicurezza nazionale ma solo un problema di integrazione sociale è diventato oggi molto difficile. I peggiori “nemici” sono rappresentati da un’orda di giornalisti prezzolati (ormai sempre pagati da qualche padrone, pubblico o privato), senza cervello, senza profonda cultura di giornalismo, semplice manovalanza. La qualità non è richiesta. Sparano a zero su tutto quello che si muove “nell’altro campo”, all’unison, ritenendosi, spesso illogicamente o moralmente, sempre nel “campo giusto”. Parlano e smuovono quel popò di feccia che un po’ tutti hanno sedimentato nella coscienza, nelle trippe, e che al momento opportuno rispunta quasi senza controllo. Stare in una muta ululante si rischia di gridare più forte degli altri.

Questo concetto del campo giusto è una vera negazione per quelli che considerano “ingenuo” lo stato belga per aver perseguito la strada dell’integrazione. Almeno il più possibile e meglio degli olandesi di un ventennio fa, perché da allora, spinto dai nuovi nazi-fascisti al governo, anche in Belgio, le cose sono cambiate di molto. Chi ha vissuto queste esperienze direttamente, comprese le immense difficoltà politico-amministrative, pur con un popolo aperto e accogliente dal 1830 come quello belga, non deve ammettere che per quattro balordi possano saltare anni di sacrifici, se non decenni, per essere pienamente accettati. Fanno sorridere i commentatori francesi che sparano a zero sul Belgio, pur sapendo che gran parte delle periferie-bidonville delle loro grandi città sono sedute sulla dinamite della disgregazione sociale. Forse anche qualche generale nostro quando parla pomposamente in televisione, a postiori, di “falla” nei servizi di sicurezza del Belgio, non si rende conto della trave nell’occhio considerando la pagliuzza del vicino. Ma noi siamo così sicuri dei nostri “tappi” aspettando Roma? Già più volte minacciata e ripropostoci tante volte dai nostri telegiornali, seminando e sedimentando terrore e insicurezza, con grande felicità dell’Isis.

Quello che è successo a Bruxelles, o a Parigi, (o prima a Londra e Madrid) non può esserci riproposto per giorni o settimane, in tutti i clonati talkshow, da “giornalisti” come avvoltoi che si compiacciono nel sentimentalismo. Fanno la gioia, e lo scherno, mondiale dei Jhadisti. Certamente c’è la dovuta informazione e l’angoscia, ma devo dire che ho visto almeno 100 volte come hanno sparato a Salah. Non sono compiaciuto e non faranno di me un vendicativo pronto alla guerra o alla pena di morte. Capisco soltanto che presto saremo tutti schedati, con DNA e chip sottopelle, per il “nostro bene”, e per “combattere il terrorismo”. Diventerà anche un problema di selezione di razza? Quante affinità, sottilmente sottintese, con la cultura xenofoba nazi-fascista. Questa volta sembra che gli ebrei se la scampino visto che adesso ci sono i musulmani. La grandiosità inumana di partecipare di nuovo a “guerre sante”, a guerre “di razza”. In realtà bisognerebbe misurare quanto abbiamo già ceduto di democrazia a causa della paura, e fin dove potremo arrivare.

Si capisce che i governi non hanno interesse a placare le paure dei cittadini, piuttosto alimentano l’ansia che deriva dall’incertezza del futuro spostando la fonte d’angoscia dai problemi che non sanno risolvere a quelli con soluzioni più facilmente “mediatiche”. Non possono parlare sempre di aumento del numero dei disoccupati, della povertà che avanza, dell’incertezza del futuro, dei giovani senza lavoro e di disperazione sociale, per quanto riescano a mentire con i numeri. Finalmente due o tre settimane di guerra e di angoscia, sì, ma anche di “pace informativa sul sociale”.

Il concetto espresso da D’Alema è la via giusta per interrompere la spirale della contrapposizione. Bisogna dare la possibilità di un’interazione autentica tra etnie e religioni, di rispetto reciproco almeno umano, pur nell’assunzione di una legislazione fondamentalmente contro le ingiustizie, comprese quelle alla persona, per tutti. Il tema dell’ingiustizia sociale accumula, in tutti, più rancori di quel che si possa pensare. Molti giovani terroristi sono cittadini francesi, belgi, inglesi… “E’ un errore sovrapporre terrorismo a immigrazione” (Bauman). Sono due cose completamente diverse, è vero, ma che l’arrivo di altre decine di migliaia di profughi o semplici affamati sulle nostre coste, (una volta pagata e chiusa la frontiera turca e con la Grecia satura e allo sbando), rischiano di confondere i concetti. Ma ormai non è più nemmeno dato sapere chi siano e quanti siano esattamente, anche se i terroristi conosciuti di questi tempi viaggiano in aereo, in macchine ben equipaggiate, armi moderne e con documenti a posto.

Una verità di fondo è che la stragrande maggioranza della popolazione europea, attanagliata da una crisi indotta da banche e oligarchie antidemocratiche varie, non ha la capacità culturale e sociale di pensare anche agli immigrati che arrivano e che arriveranno sempre più. C’è rimasto veramente poco da dividere e di già anche i nostri 100.000 nuovi emigrati italiani all’anno fuggono all’estero. In questo contesto, se ne ha le capacità, D’Alema, anche se già “rottamato” dal suo partito, dovrebbe insistere e rilanciare un vero dibattito. Ne uscirebbe qualcosa di sinistra, cioè di umano.

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